domenica 20 settembre 2009

Smarrire il proprio "io"

Ci sono dei momenti in cui inevitabilmente sei costretto a guardarti allo specchio. Non lo fai per una forma di narcisismo, tantomeno per vedere se sei bello o brutto, a quello ci ha già pensato madrenatura. No. Ti guardi per fare un bilancio della tua vita, di quello che hai fatto, di come l’hai fatto e soprattutto di quello che ti appresti a fare. Se lo specchio negli occhi riflette sensazioni positive, allora significa che la molla motivazionale è davvero elastica e carica. Il che vuol dire essere pronti a mettere in cantiere nuovi progetti e cercare di portarne i contenuti a compimento. Se invece lo specchio riflette fasci di luce spuntati, diventa dura trovare l’appiglio giusto per ripartire dopo evidentemente una caduta. Già, proprio il termine caduta, nessuno di noi vorrebbe configurarlo nel proprio “io”, assicurandosi che tutto andrà bene e si arriverà alla meta senza intoppi. Purtroppo, non è così. Cadere per poi rialzarsi, non è altro che l’equilibrio sottile che domina il nostro “io” da quando si viene al mondo a quando si passa a nuova vita. In questa dimensione, se sussiste un equilibrato rapporto tra le cadute e il rialzarsi, è facile che ci si abitui a reagire, e magari a non dare nemmeno più tanto peso alle difficoltà. Il vero problema è quando in sequenza devi affrontare una serie di cadute e non hai più la forza per rialzarti. In questo caso, lo specchio ti apparirà informe, come un pezzo di vetro che il tuo stato di inquietudine interiore vorrebbe sgretolare in mille rivoli per non guardare più nulla. Senti il tuo “io” quasi smarrirsi. Chi ti circonda non è altro che un numero che vorresti azzerare per non portare il tuo udito su frequenze subdole e prive di senso compiuto. E’ chiaro sin dall’antichità, di come l’uomo sia spinto nel suo essere tale e nel compimento delle proprie imprese da motivazioni interiori, curiosità e voglia di sfidare continuamente se stesso confrontandosi con gli altri. Il confronto, è il perno della maturità psico-fisica dell’uomo, la solitudine avvizzisce ogni tentativo di crescita. Confrontarsi significa non solo uno sviluppo reciproco di conoscenze, bensì anche sfidarsi per cercare di inseguire un obiettivo. La sfida ha le sue regole, partire ad armi pari, giocarsela in base a quelle che sono le proprie capacità, accettare che vinca l’avversario se ha mostrato doti maggiori nel rispetto delle regole. Purtroppo non è così. I duelli sono sempre o quasi impari. E’ impossibile sfidare chi siede quasi sul podio perché sa che c’è qualcuno in grado di spianargli la strada, rispetto a chi candidamente vorrebbe partire dal traguardo e sperare di assurgere ai gradini del trionfo. In questo caso, non brucia la sconfitta, bensì il sistema che premia il vincitore e denigra lo sconfitto, in quanto il primo, vero vincitore non è, mentre lo sconfitto è in stand by poiché non gli è stata data la possibilità di esprimersi o meglio, è stato a priori giudicato insufficiente, senza un’accurata valutazione meritocratica. Ritorna brillantemente il discorso iniziale della “caduta”. Nell’esempio che ho fatto lo sconfitto, nonostante l’impegno, la motivazione, la voglia di mettersi in gioco, non riuscirà mai a spuntarla in un sistema sbieco che obnubila le regole e premia traversìe subdole e meschine. Inevitabilmente sarà costretto a cadere, poiché non ha lo stesso armamentario per poter sperare in una luminosa vittoria. La domanda potrebbe quasi nascere spontanea. Ma perché lo sconfitto non cerca di livellarsi al vincitore truccando le regole? In teoria è così, ma in pratica ciò determinerebbe l’annichilimento del substrato culturale, umano e sociale in cui vincitore e sconfitto trascorreranno il resto dei loro giorni. Che società sarebbe? Lo sconfitto ha poi i mezzi, i contatti, gli appigli giusti per entrare in un meccanismo capace di accompagnarlo in una diversa dimensione? Non è facile trovare una risposta in un contesto sbilanciato a clientele e colpi di mano. Temo quindi, che allo sconfitto convenga trovare nuovi spazi in cui poter dare lustro al proprio “io” gustandosi quella meravigliosa sensazione di libertà insita nell’essere umano, altrimenti dopo tante cadute sarà normale non avere più la forza per rialzarsi.
M.B.

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