Da poche ore è iniziato il G8, l’appuntamento mondiale che vede a confronto i grandi della terra su temi di importanza planetaria. Tutti cercano di mandare un messaggio a chi dovrà decidere sul nostro futuro. Dal Santo Padre agli abitanti dell’Aquila che vivono la tragedia del terremoto e che sperano in un aiuto. Chi scrive, non ha i mezzi per mandare un messaggio diretto sul tavolo di Coppito, ma qualche considerazione crede sia giusto farla. La crisi finanziaria, la sperequazione sempre più ampia tra Paesi ricchi e poveri, la forte dilatazione dei valori etici, sta annichilendo l’uomo e la sua indole. Il flagello dell’HIV nel continente africano, il cinismo delle multinazionali nella delocalizzazione della produzione per incassare alti profitti, porta ad un appannamento dei valori che dovrebbero preservare la comunità mondiale. La globalizzazione o meglio, questa sorta di interdipendenza economica planetaria, da alcuni è considerata come la causa di tutti i mali. Teoria preconcetta che potrebbe risultare assai pericolosa nel bocciarla in toto. I mutamenti socio-economici degli ultimi anni, inevitabilmente hanno spostato l’asse da un'economia di confine, ad un'economia aperta, sfrontata. La mobilità in essa contenuta, ha avuto ripercussioni su tutti quegli aspetti collegati all’economia, in primo luogo il mercato del lavoro e la divisione della ricchezza mondiale. Il concetto di mobilità è molto importante nel momento in cui però viene preservato da garanzie ben precise. Mi riferisco al fatto che chi perde il posto di lavoro, attraverso l’impulso dinamico della ricerca del lavoro, ne possa trovare subito un altro. Mobilità come bene succedaneo. Purtroppo non è così. L’economia statunitense ci mostra come l’impazzimento finanziario abbia messo sul lastrico milioni di lavoratori, che non avendo forme di tutela previdenziale, sono costretti in tarda età a nuove file presso agenzie di collocamento, con speranze del tutto vane. Il lungo periodo di allontanamento dal mondo del lavoro, l’aggrapparsi a forme prolungate di assistenza pubblica e privata, screditano la persona. Ne favoriscono la mortificazione ed appannano, specie per le nuove generazioni, la possibilità di programmi futuri. Ma perché siamo arrivati a questo stato “comatoso”? Personalmente, ritengo che per un bel po’ di anni, l’uomo abbia smarrito la logica dell’etica. Etica come capacità di saper scindere il giusto dall’ingiusto quando la mattina magari ci si guarda allo specchio. Si è stati accecati dalla sete del “piacere” finanziario, economico, sessuale, del benessere puro. E’ normale che portare all’eccesso tutto questo desiderio spinge l’uomo a dimenticarsi dei valori che sottendono l’esistenza. L’amicizia, il rispetto, la solidarietà tra i popoli. L’uomo diventa una macchina digitalizzata che attraverso un processo ampiamente accelerato deve rincorrere in modo forsennato degli obiettivi, raggiungi i quali matura una insoddisfazione per aver ottenuto ancora troppo poco. Ecco quindi che si perde di vista anche la base, cioè il distinguo tra diritti e doveri. L’inseguimento dei diritti trova sempre più spazio, determinando una incapacità a far fronte anche ai doveri. La sconfinata prateria dei diritti senza doveri diventa libero arbitrio, ove ognuno può fare ciò che vuole. Come si può notare, tutto torna. I disvalori emergenti sono dettati dall’assenza di regole o dalla volontà di eludere le regole. Questo anelito smodato, alla lunga cosa comporta? Comporta profondi guasti. Se i manager americani avessero improntato la loro condotta operativa ai sani principi etici, l’economia mondiale non vivrebbe la drammaticità odierna. Se i Paesi poveri non fossero stati solo oggetto di sfruttamento delle loro ricchezze interne, avremmo avuto sicuramente meno squilibri e più benessere, anche in termini economici. E’ normale ora che i grandi della terra, debbano usare il loro potere a mo di “bastone” per adottare scelte impopolari capaci di ripristinare il “cammino interrotto”. Non sarà un compito facile, anzi, temo che dovranno passare molti anni prima di intravedere spiragli di cambiamento. Sono tuttavia estremamente convinto che i guasti rappresentano un punto fermo di ampia riflessione da cui poter partire. Gli errori commessi, se valutati a fondo, in prospettiva futura possono rappresentare la soluzione ai problemi. Ritengo che con forza, bisogna nuovamente rimettere al centro dell’attenzione l’uomo con la sua specificazione umana e spirituale. Liberarlo da un’opprimente forma di digitalizzazione del pensiero, favorendone un confronto costruttivo con i propri simili che non dimentichi quegli aspetti di giustizia umana e sociale che debbono guidare la vita degli esseri umani. Senza “contratto” (in termini economici) non vi sarebbe economia, ma senza valori, non vi sarebbe l’uomo.
M.B.
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