Fare un elogio alla democrazia italiana, con tutto il rispetto dovuto ai padri costituenti, è una scelta azzardata. Sarebbe come dare un calcio ad un pilastro in cemento, si rischierebbero serie complicazioni osteo-articolari. Il passato lo conserva la storia, il presente lo viviamo, il futuro dovremmo essere in grado di programmarlo. L’aspetto preoccupante è trovare l’anello di congiunzione tra il presente e il futuro. Considerare la democrazia come la forma di governo più nobile e liberale che possa esistere, e vederne i contenuti giorno dopo giorni affinarsi, spiace davvero molto. In un regime democratico, si gode di infinite libertà che altre strutture governative non assicurano. Ognuno può esprimersi liberamente, confrontarsi, aggiornarsi e vivere in costante crescita umana, professionale, socio-culturale. Purtroppo nulla di tutto questo accade. Una nazione che ha una bassissima mobilità sociale, che non facilita il turnover generazionale, che è avvitata intorno ad una politica le cui prospettive di cambiamento vengono profuse da chi è ormai prossimo a passare a nuova vita, non farà balzi in avanti in termini di crescita e sviluppo. Facciamo un attimo un esempio per schiarirci le idee. Mettiamo in parallelo la vita di due ragazzi, uno figlio di operaio, l’altro figlio di un professionista. Entrambi studiano, perfezionano il loro bagaglio culturale, dovrebbero affacciarsi al mondo del lavoro. L’ereditarietà che premierà il secondo poiché avrà scelto una facoltà universitaria in linea con l’attività del padre, sarà un ostacolo per il primo il quale, pur essendo preparato, ma non avendo le spalle coperte, non saprà come fare o a chi rivolgersi. Logica vuole che un sistema chiuso come il nostro, in cui gli spazi sono pochissimi, necessariamente debba alimentare un familismo o clientelismo ripugnante. Qui la politica o i poteri forti, genereranno una forma di ufficio di collocamento in cui è necessario porsi in graduatoria per sperare in un domani migliore. Se vi fosse un sistema aperto, questo tipo di feudalesimo, non esisterebbe, o quantomeno avrebbe un peso minore. Un paese vivo invece, darebbe man forte ai talenti i quali pur non avendo le spalle coperte, possono mettere al servizio della nazione la loro brillantezza intellettiva, la quale avrebbe un tornaconto collettivo pazzesco in termini di benessere e progresso. E’ questo stallo maledetto, che ci sta portando fuori dal mondo. Qualcuno potrà scambiarmi per matto, ma gli effetti saranno devastanti. Basti vedere l’attuale campagna elettorale per le elezioni europee. Chi candidato è in grado di parlare con cognizione di causa dell’Europa? Due ne ho contati personalmente. Tutto il resto è una pietosa mortificazione che intristisce le menti sane. Ci si gonfia il petto nell’aver dato sfogo alla sete di giustizia dei cittadini con le ronde, o aver dato da bere agli assetati con gli spiccioli della social card. E delle liberalizzazioni dei servizi pubblici chi ne parla? E di una seria riforma del mercato del lavoro che scardini il precariato e apra spazio ai meritevoli? E di una riforma della giustizia che dia spazio alla certezza della pena e faccia sentire la rigidità del diritto su chi delinque e tracci definitivamente un preciso confine tra il giusto e l’ingiusto? Potrei proseguire all’infinito nell’elenco delle tantissime cose da fare per evitare che l’Italia cada nella desolazione e nella solitudine. Ciò che mi fa inorridire, l’ho già scritto e lo ripeto, è che a livello mondiale siamo dei “miseri ruscelli senza fonte”. La parola “italian” inevitabilmente comporta una risata sardonica. Come fai a spiegare ad un americano, ad un europeo, quello che succede in Italia? Magari quando sei all’estero e ti presenti come italiano, sei sbeffeggiato da un cu cu di turno, il quale lo incassi senza poter nemmeno reagire.
M.B.
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