Vivere in una comunità significa avere il proprio spazio d’azione, disciplinato da regole certe in linea con le esigenze di chi nello spazio deve muoversi. Essere protagonisti in primis di se stessi e poi confrontarsi con gli altri, necessita di uno spazio molto ampio, per cui restringerne i contenuti può risultare alquanto deleterio e pericoloso. Le regole devono in primo luogo essere elaborate, prima in astratto e poi darne una configurazione di concretezza per permettere a tutti i consociati la conoscenza ed il conseguente rispetto. Per elaborare le regole è necessario avere la consapevolezza di cosa sia un precetto e soprattutto la competenza nel saper adottare ciò che è più giusto per non agitarsi in pericolosi turbini di anarchia incontrollata. Un bravo legislatore è dunque necessario, così come un bravo detentore del potere di osservanza delle regole stesse, e soprattutto una maturità sociale che permetta a gran parte della comunità (tutta sarebbe impossibile) di gestire il proprio spazio nel rispetto e nell’ottemperanza di regole imposte. Nulla di speciale se transitassimo in un sistema democratico brillantemente deputato alla competenza, alla conoscenza, al merito e alla capacità di sapere guardare in faccia la realtà. Nulla di tutto questo è presente oggi ai miei occhi, ma credo agli occhi di tanti, visto il malessere diffuso e, può sembrare un paradosso, vista l’inspiegabile assuefazione allo status quo. Lo spazio di ciascuno è metricamente sproporzionato, nel senso che per qualcuno si appalesano sconfinate praterie, per altri angoli ristretti in cui bisogna comprimere se stessi per sopravvivere. Regole latenti, a volte insulse, spesso inopportune e violate. Tutta questa piramide ha a capo un legislatore a dir poco deficitario, lontano anni luce dal saper interpretare il bisogno collettivo, convinto che qualche applauso riscontrato a destra e a manca possa lucidare il prestigio e la beltà del proprio savoir faire. Oltreconfine però non si possono agitare i poteri della persuasione di massa, le parole hanno un peso e sviscerarle fuori ogni logica, potrebbe risultare pericoloso per la tenuta della sicurezza interna e per l’immagine del Paese nel mondo che attonito ti osserva. Mentre il legislatore si gongola nel nulla ed incanta le masse soggiogate da un sopore virtuale, la giustizia muore sotto i colpi di una scrosciante umiliazione provvedimentale; i cervelli scappano come se fossero appestati; le multinazionali delocalizzano facendosi spesso beffa di un Paese sempre più chiuso nella propria inconsistenza. Se però il legislatore avesse la capacità o meglio, l’onestà di analizzare il mondo reale e staccarsi da virtuali visioni paradisiache, sarebbe un passo avanti. Ci s’impatana sempre nella sola “pubblicità regresso” caratterizzata da paroloni altisonanti e da fatti evanescenti. Contemporaneamente però, lo spazio degli individui si riduce sempre più, e la tensione sale alle stelle. Nonostante tutto, il virtuosismo legislativo fotografa una situazione fulgida e brillante per cui non bisogna preoccuparsi. Il colore politico che agghinda la veste del legislatore, nonostante sia stilisticamente ben curato, è ormai un orpello ampiamente trascurabile. Lo sfacelo completo non è certo figlio degli ultimi impulsi cervellotici, ma l’anima ribelle del populismo inconcludente, serpeggia ormai da diversi anni. Se quindi ha prevalso ad oggi, un egoismo di facciata in cui il benessere individuale ha surclassato le esigenze collettive, sicuramente, a meno che non regni uno stato d’infermità psichica diffuso, quel qualcuno che per anni ha vissuto in spazi angusti, tenterà di riappropriarsi di qualche metro in più, allora saranno davvero dolori.
M.B.
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